Pericolosi. Eppure, per chi sa guardare oltre le apparenze, i Raee sono anche una risorsa, perché per funzionare contengono dosi di terre rare, elementi che, come dice il nome, sono difficili da trovare in natura e potrebbero esaurirsi.

Cellulari, tablet e computer, ad esempio, sono miniere di metalli e rappresentano un boccone ghiotto per la filiera del riciclo. E-Waste Lab e il Politecnico di Milano hanno calcolato che in uno smartphone ci sono, tra gli altri elementi, 9 grammi di ferro, 250 milligrammi d’argento e 24 di oro, un grammo di terre rare, per un valore commerciale di 195 milioni di euro calcolati su 35 milioni di cellulari venduti nel 2014 in Italia. E dato che, numeri Deloitte, solo il 28% degli italiani dichiara di cambiare cellulare per necessità, mentre la maggioranza fa shopping per questioni di gusto, nelle nostre case almeno 120 milioni di smartphone fanno la polvere, ormai inutilizzati. Potenziali rifiuti, potenziali miniere inermi.

Non stupisce affatto, quindi, che il mercato degli articoli rigenerati abbia avuto un grande sviluppo in poco tempo, e che riciclare i Raee sia diventato un vero affare ma soprattutto un preciso piano per la diminuzione dell’impatto ambientale. Un device ricondizionato infatti ha un impatto ambientale minore rispetto a un prodotto nuovo: per la produzione di uno smartphone vengono emessi circa 94 chilogrammi di CO2 dei quali l’88% sono direttamente correlati ai cicli produttivi e al trasporto del dispositivo.